FOTOGRAFIA DEL CIELO NOTTURNO

CON PELLICOLA ALL’INFRAROSSO

 

 

Questo mio lavoro non vuol essere né un trattato di fotografia scientifica (non ne ho la competenza) né tantomeno l’esposizione saccente e parolaia ad una platea estatica e silenziosa di mirabolanti esperimenti per lo più fini a sé stessi (non ne ho l’intenzione). E’ semplicemente il resoconto dei risultati ottenuti in oltre vent’anni di ricerche, basate su alcune nozioni di fisica ed effettuate mediante l’uso di una fotocamera tipo "reflex" e della pellicola KODAK INFRARED HIGH SPEED, applicando al tutto una rigorosa metodologia scientifica, unitamente alla basilare dote del ricercatore (la pazienza) e soprattutto confidando nell’unico, vero arbitro della situazione: la fortuna! Non si spaventino dunque gli eventuali neòfiti che mi dovessero leggere: per riprodurre i risultati cui il sottoscritto (come già tanti altri) è giunto, non occorre possedere una costosissima attrezzatura da fotografo professionista o la laurea in fisica; ripeto che solo ai pigri, agli incostanti ed ai "casinisti" in genere sconsiglio tale sperimentazione fotografica, perché sarebbero energie, tempo e denaro sprecati. In quanto alla fortuna, beh...dicono che siano proprio i principianti a goderne maggiormente: provare per credere! Attenzione però agli entusiasmi troppo facili: qualunque "cosa" impressioni il negativo, non è detto che sia di per sé un successo. Occorre valutare serenamente e realisticamente ogni possibile interpretazione, senza "arrampicarsi sugli specchi" né "sparare" conclusioni azzardate, affrettate o ridicole. Non dimentichiamo che ci si muove con lentezza e difficoltà in un campo ancora sperimentale e, purtroppo, misconosciuto: è fondamentale quindi non perdere di attendibilità.

Non ho difficoltà a riconoscere che anch’io all’inizio ero un po’ scettico sull’argomento, tuttavia decisi di provare ed ora non ne sono certo pentito. Appunto per questo colgo l’occasione per esprimere attraverso queste righe il mio più sincero e commosso riconoscimento al fraterno amico Roberto Balbi del CUN di Genova, prematuramente scomparso, il quale, la (memorabile per me) notte tra il 25 ed il 26 aprile 1980, sfidando un freddo inconsueto per quel periodo e quella zona, pazientemente mi insegnò la tecnica della foto notturna e per di più mi donò un rullino all’infrarosso, non essendo io nemmeno a conoscenza (allora) della reperibilità in commercio di tale tipo di pellicola. In effetti, i cosiddetti << luoghi zanfrettiani >> (ci trovavamo a Rossi, sui monti dell’entroterra genovese: gli "addetti ai lavori" avranno già capito!) mi riservarono una fortuna sfacciata e già quel primo rullino si rivelò un successo, quasi in ogni fotogramma.

Ma ora è tempo di entrare in dettagli tecnici, ché i più curiosi staranno certamente fremendo.

Ciò che noi comunemente e semplicemente chiamiamo << LUCE >> è definita in campo fisico come l’insieme di radiazioni (od onde) elettromagnetiche prodotte dai corpi incandescenti e quindi anche dallo spettro solare.

La lunghezza d’onda della luce è compresa tra 10-5 e 10-8 l/metri e più precisamente si distinguono: la radiazione infrarossa (10-5 - 10-6 l), la radiazione visibile (10-6 - 10-7 l) e la radiazione ultravioletta (10-7 - 10-8 l).

L’occhio umano è in grado di percepire solo il tipo di radiazione cosiddetta "visibile"; è evidente pertanto come esso sia un recettore alquanto limitato, che copre solo la banda intermedia della luce. Di contro, l’emulsione di alcune pellicole speciali, tipo appunto la KODAK INFRARED, è capace di rimanere sensibilizzata anche da radiazioni che esulano dal campo visibile umano (nel nostro caso quelle inferiori ai 10-6l) e della cui esistenza, al momento dell’apertura dell’otturatore, l’operatore non può accorgersi, anche se queste sono presenti.

Lo schema dettagliato del procedimento è il seguente.

Procuratosi il negativo di cui sopra presso qualche negozio o laboratorio specializzato (non facilmente reperibile sul mercato, anche per la scarsa domanda), il ricercatore, se prevede di non impiegarlo subito, avrà cura di stoccarlo in frigorifero (+4 / +8 °C) nella sua confezione originale, meglio ancora se racchiusa in un contenitore di polistirolo espanso, onde preservarlo dall’umidità. Almeno quattro ore prima di usarlo, togliere il rullino dal frigo e, liberatolo dal polistirolo e dalla confezione originale, lasciarlo a temperatura ambiente (=20 °C) nel proprio tubo di plastica nera (quello con la scritta "SEE WARNING"), per consentire l’evaporazione di eventuali condensazioni.

Il caricamento della fotocamera deve essere effettuato in oscurità assoluta (e non al "buio di camera oscura", perché la lampada rossa emette, tra le altre, proprio radiazioni infrarosse) e lontano da qualsiasi fonte di emanazione termica.

Di solito io mi regolo così: carico la fotocamera di notte, appena prima di uscire per lo sky-watch, in camera da letto, con tapparelle e porta chiuse per eliminare le luci della strada. Inoltre, per stare sul sicuro, inserisco il caricatore nella macchina stando con le mani al di sotto delle coperte, in modo che anche eventuali radiazioni accidentali (tipo il display della radiosveglia o i filamenti di tungsteno delle comuni lampadine, accesi fino ad un attimo prima e non ancora raffreddati) non possano interferire.

Non esiste una vera e propria sensibilità sulla scala ASA-DIN per la pellicola Infrared, ma grosso modo si può approssimare intorno agli 80 ASA. E’ buona norma, comunque, sovra-impostare arbitrariamente l’indicatore di sensibilità della fotocamera (qualora essa ne sia dotata), ponendo l’indice sui 400 ASA: questo per eliminare l’effetto del cosiddetto "cielo nero", che si verifica specialmente con tempi di posa piuttosto prolungati.

Se non fosse possibile reperire la Kodak Infrared, si può usare in alternativa l’ILFORD SFX (200 ASA) oppure il KONICA Infrared 750 nm, anche se il "non plus ultra" in questo campo resta sempre l’invertibile KODAK EIR (EKTACHROME INFRARED PROFESSIONAL), che consente di ottenere splendide diapositive a colori, ad un costo tuttavia decisamente superiore.

In questi ultimi tre casi è evidente che l’impostazione deve essere reale, cioè rispondente alla sensibilità indicata sull’involucro dalla Ditta produttrice (es. 200 ASA). Sono da preferire le serate senza luna (ovviamente dopo il tramonto completo del sole: d’estate, con l’ora legale, occorre attendere circa le h.22), possibilmente limpide, con ottima e completa visibilità; si può operare anche con leggera foschia o nebbia a banchi, purché accompagnata da brezza. Raggiunto il luogo prescelto per lo sky-watch, si può procedere in due modi. Se ci si può valere dell’apporto di apposite strumentazioni (quali: contatore Geiger, Orgonotester, rivelatore di deviazione del campo magnetico, Ultrasonic sensor, ecc.), conviene predisporre la fotocamera sull’infinito, con diaframma "tutto aperto" e tempo di esposizione 1/100 o 1/125 di secondo (n.b.- se si dispone di fotocamera automatica, si metta l’indice su "manual" oppure la si innesti su cavalletto, munita di scatto flessibile e impostata su "auto") e poi scattare, non appena gli strumenti cominciano a registrare valori superiori a quelli medi normali, oppure campi magnetici abnormi, oppure ancora vibrazioni ultrasoniche. Occorre fare molta attenzione, perché questi sbalzi, di norma, sono improvvisi e durano solo pochi istanti, per cui, se non si è già pronti, si corre il rischio di lasciarsi sfuggire l’attimo giusto per scattare. Sarebbe buona cosa effettuare ogni sky-watch almeno in cinque persone, in modo che, mentre uno controlla gli strumenti, gli altri quattro si dispongono ognuno verso un punto cardinale, per coprire così 360°; la fotocamera va puntata, se la visuale attorno è completa, verso l’alto, con un’inclinazione sull’orizzonte di 30°-45°. Se poi si vuol andare sul "fine", si potrebbero anche impiegare i filtri WRATTEN, sempre della Kodak; si tratta di particolari e sottilissime lastre quadrate di gelatina, che hanno il compito speciale di lasciar passare solo le radiazioni infrarosse. Apparentemente sono completamente neri, ma basta metterli di fronte ad una lampadina accesa per rendersi conto del loro effetto: vedremo solo il filamento di tungsteno incandescente, colorato però di un bel viola-cardinale. Il loro costo è modesto, così come quello del porta-filtri universale, adattabile a qualunque tipo di fotocamera; difficile però reperirli, se non alla Kodak di Milano. Conviene comunque, una volta trovati, inserirli tra due lastrine di vetro sottili e perfettamente pulite, a mo’ di montatura di "quadretto all’inglese", fissate con nastro adesivo trasparente: evitare assolutamente la formazione di bolle d’aria tra filtro e vetro. Solo così si conserveranno indefinitamente, dato che sono molto delicati e facilmente graffiabili. 

Se invece non si dispone di alcuno strumento (e qui di fortuna ne occorre tanta, anche se si possono ottenere ugualmente buoni risultati), si pone la fotocamera sul cavalletto, si innesta lo scatto flessibile, si regola su "posa B", diaframma tutto aperto, all’infinito, si inquadra possibilmente (se esiste) una fonte luminosa fissa, la più debole e la più lontana possibile (es.: da valle, un lampione stradale su un tornante di montagna; la luce flebile di una casa sullo sfondo, ecc.), tanto per avere un punto di riferimento.

La posa può variare, a seconda delle condizioni ambientali, da 1-2 minuti fino a 20 minuti. Conviene annotare a parte su di un’agenda: n.° progressivo del fotogramma, direzione del puntamento, tempo di esposizione, orario e condizioni meteo ed ogni altro particolare utile, in sede di stampa, all’identificazione della foto, specie nei casi in cui si sia privi di punti di riferimento.

Di norma, è bene utilizzare tutto il rullino nella stessa serata e scaricare la fotocamera subito dopo, adottando le stesse precauzioni già descritte per il caricamento. Se non esistono "in loco" le condizioni ottimali per effettuare tale operazione, è bene attendere il ritorno a casa, a patto che ciò avvenga nel giro di poche ore e che, in ogni caso, la fotocamera non rimanga esposta alla luce solare diretta o vicina a fonti di calore. Se si prevedono queste eventualità durante il rientro, è preferibile correre il rischio di togliere subito il rullino dalla macchina, col sistema "sotto le coperte" (ovviamente va benissimo anche una giacca a vento) o mediante un’apposita "camera oscura portatile" di tela nera, impermeabile alla luce (in vendita nei negozi specializzati) e poi conservarlo fino all’atto dello sviluppo nel suo tubo di plastica nera (sempre quello con la dicitura "see warning").

PARTICOLARE DETERMINANTE ! All’atto dello sviluppo, usare esclusivamente i liquidi indicati ed osservare scrupolosamente i tempi riportati sul foglietto inserito nella confezione; in caso ci si serva di un professionista, raccomandargli tutto questo e soprattutto di non operare alla luce della lampada rossa (la forza dell’abitudine gioca spesso brutti scherzi). Avvertirlo, inoltre, di non preoccuparsi se il negativo A PRIMA VISTA si mostrasse non impressionato o lo fosse con forme inconsuete e, quel ch’è più importante, di NON SEZIONARE IL NEGATIVO, ma di lasciarlo tutto intero, in striscia.  

Alla fine di tutto questo è lecito domandarsi, come nei passatempi enigmistici: cosa apparirà? Non posso certo sapere cosa apparirà a voi che mi leggete, né voglio raccontarvi cos’è apparso ad altri; vi dirò solo che a me qualcosa, anzi, molte "cose" sono comparse; ma cosa di preciso? Non è facile spiegarle o definirle: occorrerebbe vederle coi propri occhi, per farsi un’idea.

Sono "entità" dalle forme e dimensioni più svariate: punti luminosi, bolle trasparenti, sigari fluorescenti, croci ansate, stormi di "ochette", ippocampi e "vermetti", boomerang, filamenti luminosi continui o tratteggiati, ecc.

Cosa rappresentano? Se ve lo dicessi, direi una bugia, perché neanch’io, che pure li ho fotografati, lo so. C’è chi afferma siano minuscole "creaptures" (critters), entità viventi in un’altra dimensione; altri sostengono che si tratti di forme energetiche (bio-plasmatiche) sconosciute; per altri ancora sarebbero "succhiatori" di energia, che fungono da "supporters" ai ben noti UFO; infine c’è chi vede in essi i vettori del DNA cosmico, cioè in pratica i diffusori della vita.

Se volete sapere la mia, probabilmente si tratta, almeno in buona parte dei casi, di particelle elettromagnetiche provenienti dallo spazio cosmico e trasportate sulla Terra dal "vento solare". Queste si propagano linearmente alla velocità della luce, sono dotate di altissima energia e sono per questo altamente penetranti. Il nostro pianeta viene da esse costantemente "bombardato", ma la vita non potrebbe sussistere se in massima parte non venissero schermate dalle fasce di Van Allen e dalla cintura di ozono che circondano la Terra. Tuttavia capita sovente che qualcuna di esse venga solo deviata nella sua corsa e non trattenuta, per cui, anche se frenata, riesce a raggiungere il suolo con le traiettorie più bizzarre.

Noi non possiamo vederle perché hanno lunghezza d’onda ben al di sopra della soglia di percezione umana (da 10-9 a 10-13 l), però la loro energia viene registrata dal contatore Geiger-Muller e la loro "vita" brevissima lascia una traccia luminosa più o meno lunga sul negativo.

CONCLUDENDO: non è sempre vero che ciò che il nostro occhio non vede non possa esistere; anche virus e batteri, prima dell’avvento del microscopio, l’uomo non li vedeva, ma ne subiva le malattie. Analogamente: mentre io scatto, non "vedo" nulla, ma l’occhio del Geiger e della fotocamera sì; 2 a 1 per loro, palla al centro e si riprende col secondo tempo ! ...

Giorgio Pattera

g.pattera@libero.it

 

 

BIBLIOGRAFIA

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L.Boccone - UFO : LA REALTÀ NASCOSTA - Edizioni Ivaldi/Genova 1980

G.Wagner - FOTOGRAFIA CON L’INFRAROSSO - Edizioni Effe/Roma 1977

M.Micci - FOTOGRAFARE CON L’INFRAROSSO - Ciapanna/Roma 1997

Cortellazzi/Germinaro - GLI UFO DI FRONTE ALL’OBIETTIVO: COME SI FOTOGRAFA UN UFO - CUN/Notiziario UFO 1980

R.Balbi - L’INVISIBILITÀ UFO NELL’ULTRAVIOLETTO - Sky Watch n.°3 Luglio 1980

R.Balbi - L’INVISIBILE COME NUOVA FRONTIERA - CUN Genova


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